Qualche giorno fa mi è stato riferito, con un certo allarmismo, qualcosa circa la panica riforma della scuola firmata Gelmini. Non conosco precisamente quali siano i dettagli della riforma, ma ero stato appunto messo in guardia con qualcosa che suonava come «I laureati in matematica potranno insegnare soltanto a high school science, and not in other high schools (not that higher education, at least in Italy, is one of my intentions). Put that way, it seemed that the teaching of math by graduates in mathematics was no longer a right of high schools and, indeed, not scientific, because a degree in mathematics could be taught that matter, would simply do it in high school. The consequences for the quality of teaching would have been tragic. In reality things are in a different way, as I found out looking for some document on the Internet.
Apparently we will revise the structure of classes which are divided into disciplinary teachers, and teachers afferenti alla nuova classe A-25, ex 47/A (Matematica), potranno insegnare solo nel liceo tecnico-scientifico ed in una serie di istituti tecnici, mentre per insegnare matematica nei nuovi numerosi licei bisognerà appartenere ad una classe diversa dalla A-25. Questo è ciò che sono riuscito ad evincere da questo documento (e questo , e questo ). In realtà la situazione non dovrebbe essere troppo diversa da quella attuale, che prevede requisiti d'accesso non restrittivi per l'insegnamento della matematica in diverse scuole. Solo che se un docente è nella classe 47/A ed insegna in un liceo classico, quando la 47/A diventerà una A-25, detto docente dovrà trovarsi un'altra scuola. O finirà in un limbo di indefinita incertezza, fatto questo che ha smosso la polemica per ovvie ragioni sindacali. Io mi ero (infondatamente) preoccupato in prevalenza di come potesse scadere la didattica a causa di scelte pubblicizzate come sconsiderate, ma evidentemente di questo non frega niente a nessuno.
Tuttavia, nell'analisi delle tabelle contenute nei documenti a cui i link precedenti puntano, ho potuto constatare una tendenza linguistica preoccupante, il che mi porta alla seconda parte di questo post. Come si può facilmente verificare, l'introduzione di un pulviscolo di sottocategorizzazioni di istituti e licei ha necessariamente richiesto, affinché questa suddivisione esplosiva avesse senso, una moltiplicazione ed una differenziazione delle materie insegnate in ogni indirizzo. E così scorrendo quelle tabelle mi sono imbattuto in una lunga serie di insegnamenti il cui nome iniziava con la parola "Arte", fatto questo che ha attirato la mia attenzione.
Ogni volta che sento la parola "arte", mi viene in mente quel capitolo VIII del Discorso sull'indole del piacere e del dolore di Pietro Verri (1773) che titola I piaceri delle belle arti nascono dai dolori innominati . Questa è una cosa che ho sempre creduto: l'arte più sublime ed universale serve a comunicare qualcosa che richiede intrinsecamente una complessità espressiva superiore alla potenza del linguaggio. And the pain is not the most effective catalyst in this process since, be it physical or spiritual pain, is characterized as an awareness that forces us to interpret the world from another perspective and forced to find new language to describe what from there you can see. Art, morally, stems from this "state", which is personal or corporate.
In this regard, I must admit that I was puzzled at least when I was saved before teaching art of bookbinding and book restoration . How this would be an art? What we would have to say? Personally I thought it was more appropriate word "technical." Mi riesce difficile credere che coloro che hanno forgiato questa sfilza di nomi che iniziano per "arte" (arte della fotografia e della grafica pubblicitaria, arte della lavorazione dei metalli, arte della tipografia e della grafica pubblicitaria, arte della foggiatura...) abbiano pensato alla traduzione semanticamente meno ristretta che si può fornire alla parola greca techne. Più facile sarebbe credere che si siano rifatti all'uso liberissimo che si fa della parola "arte" in frasi come "preparare un buon caffè è un'arte".
Se ad un utilizzo così concessivo della parola "arte", affiancato ad un impiego (nelle stesse tabelle!) della parola "tecnica" (es.: tecnica della registrazione the sound), following the teachings of non-historical but mostly expressive and technical applications, it is likely to convey the idea that artistic production is in fact only related to the ability to "natural" creation of an artifact, forgetting that in reality behind the masterpiece is not only a formal education and technical, but also an aesthetic reflection. The art can not ignore either of these two aspects. Otherwise we risk to be filled with pseudo-artists who have learned a technique to carry out only on the physical plane, but in fact produce emptiness that can not offer the viewer in an aesthetic experience, but only in a form of entertainment flat and repetitive.
This is just another example of how obvious and careless use of words, let's say reckless, leading to the emptying of the content of the words themselves. Since the "I love you" has become a shell for hazelnut chocolates, rather than a moment of intimate sharing, it was necessary to find new ways to bypass the form while keeping the content. Fortunately for us, the history of art, all art, is full of exemplary works that help us in that undertaking. But when it is the very definition of art at risk of being contaminated semantic impoverishment, an escape route probably is not as immediate.
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